Le magiche note di Danilo Rea a UJ18 | Umbria Jazz
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Le magiche note di Danilo Rea a UJ18

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«I don’t play Bach, I play alongside him» disse tanti anni fa il pianista Jacques Loussier parlando delle sue celeberrime interpretazioni in chiave jazz di alcuni capolavori del Kantor di Lipsia; chissà che in questa frase non si riconosca anche Danilo Rea. Domenica il musicista vicentino si è seduto al pianoforte e ha sfogliato con libertà il suo personalissimo songbook, dalle colonne sonore fino a pop e rock. Rea è stato uno dei grandi protagonisti dell’ultima giornata di Umbria jazz con un doppio set alla sala Podiani della Galleria nazionale dell’Umbria; in programma in realtà c’era un solo concerto – quello di mezzogiorno – diventati due data la grande richiesta di biglietti. Alla Podiani sono state tirate fuori tutte le sedie acquistate recentemente per contenere gli spettatori, oltre 150 per il piano solo di mezzogiorno e altrettante per quello delle 15.30.

In generale proprio i concerti della Podiani rimarranno come una delle vette del festival, non solo per il programma ma anche per il netto salto in avanti fatto sul piano dell’acustica: dalle nuove poltrone (scelte anche in quest’ottica) alla moquette fino alle pareti in cartongesso dell’attuale allestimento; tutti elementi che hanno portato a un sensibile miglioramento. Un mix tra scelte artistiche e novità tecniche che fa della Galleria una location ormai molto importante per il festival. Nel primo set di Rea c’è stato molto cinema, o meglio, molte colonne sonore, da Morricone («The mission») a Henry Mancini («Moon river») fino al celebre tema di Rocky. Nel pomeriggio invece il grande schermo è stato un territorio meno esplorato: Rea suona ininterrottamente per circa 50 minuti spaziando dai Beatles al Tom Waits di «Hallelujah», dai Red hot chili peppers di «Californication» fino a un brano di «Biancaneve e i sette nani».

«Non ho preparato nulla – dice al termine di questa prima parte – suono quello che viene». Come Bollani, con l’utilizzazione di temi popolari Rea riesce a fornire una chiave che permette al pubblico di poter percepire gli ingranaggi che regolano il meccanismo dell’improvvisazione. Il vicentino crea un clima di grande intimità e regala al pubblico nel finale anche una rilettura di «Got to get into my life» dei Beatles, però «nella versione degli Earth, wind and fire che ho sentito oggi alla radio venendo qui a Perugia. Proviamo». Un concerto terminato con una standing ovation e per chi non fosse riuscito ad acquistare il biglietto niente paura: Rea tornerà in Umbria il 24 agosto all’Isola Polvese per un piano solo nell’ambito dell’«Umbrò summer fest».

Pochi minuti dopo il concerto Rea è arrivato alla Feltrinelli per presentare il suo libro, «Il jazzista imperfetto, la mia vita tra jazz e improvvisazione» (edito da Rai Eri); scritto con Marco Videtta, racconta 40 anni di musica e di incontri dell’«imperfetto» Rea. «Ho scelto questo titolo – ha detto al giornalista Marco Molendini che lo ha intervistato – perché sono uno che cerca di uscire da un linguaggio consono e omologato, che cerca la nota imperfetta». Nel libro si ricostruisce anche la scena romana dove Rea ha mosso i primi passi, tra giganti come ad esempio Lee Konitz e locali importanti come il Music Inn: «All’epoca molti musicisti americani avevano scelto l’Europa per vivere, siamo stati molto fortunati; oggi ci sono tanti bravi giovani, ma sono molti di più rispetto ad allora e fanno fatica a trovare spazio».

Tra le pagine anche le tante collaborazioni di un artista che ha fatto della contaminazione una delle sue cifre stilistiche: da Mina (tra le più stabili) a Cocciante fino a Baglioni: «Ho vissuto – dice – realtà molto distanti, dal concerto nei club a quello davanti a 85 mila persone con Baglioni; consiglio a musicisti eventi così grandi: anche questo è un modo per vivere la musica». Rea ha parlato poi del suo rapporto con la classica, in particolare del concerto con Bahrami visto e sentito anni fa a Umbria Jazz: «Fu lui a suggerire il programma – racconta – e io gli ho detto che avrei comunque improvvisato. Nell’improvvisazione conta molto la fiducia reciproca». Tra il pubblico qualcuno gli chiede anche della sua collaborazione con Pino Daniele: «Un grande esempio – dice – di canzone napoletana, uno che ha messo piede nel jazz, nel blues e nel funky. Sono rimasto sconvolto – spiega riferendosi all’omaggio andato in onda giorni fa in tv – da quello spettacolo. Non è stato colto il suo spirito».

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