Il Brasile di Veloso e Bollani a UJ
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Mentre fuori dall’Arena tanti francesi festeggiano per le strade di Perugia il loro secondo titolo mondiale e i croati si leccano le ferite, al Santa Giuliana per l’incontro Italia-Brasile si balla, si canta e si applaude. Domenica sera a Umbria Jazz si è chiuso il weekend dedicato alla musica brasiliana, iniziato sabato con Gilberto Gil e Margareth Menezes: sul palco Stefano Bollani e poi, nella seconda parte della serata, Caetano Veloso con i suoi tre figli, Tom, Zeca e Moreno. Il pianista milanese sul main stage è salito insieme a Jorge Helder (contrabbasso), Jurim Moreira (batteria), Armando Marçal e Thiago da Serrinha (tutti e due alle percussioni); dal che si capisce il ruolo centrale del ritmo. Bollani torna alla musica brasiliana un decennio dopo «Carioca», e lo fa con molti musicisti di allora presentando un set di brani interamente composti da lui, ovvero quelli che appaiono nell’ultimo disco, «Que bom», «il primo – dice lui dal palco – prodotto dalla mia nuova casa discografica» e registrato a Rio.
In realtà alcuni pezzi, come «Siamo tutti figli di qualcuno» e quello che è ormai diventato un classico delle sue serate, «Il barbone di Siviglia», non sono nel disco; nel nuovo lavoro ci sono invece «Galapagos», «Habarossa», «Ho perduto il mio pappagallino» (suonato nel disco con uno dei sodali di Bollani, il virtuoso del bandolim Hamilton de Holanda), «Certe giornate al mare», «Criatura dourada» e altri ancora. Gran finale con «La nebbia a Napoli», un pezzo splendido dedicato alla moglie Valentina: nel disco viene cantato da Caetano Veloso, mentre all’Arena tocca alla voce di Bollani, accompagnata dal piano; tutto sommato, il ponte ideale verso le sonorità e la sensibilità di Veloso. Nel complesso una prima parte di serata dalla grande grazia con il jazz di Bollani innestato sulle sonorità latine.
Ovviamente domenica il pianista ha dato sfoggio di tutte le sue altre qualità, tecnica a parte: all’Arena si è visto il solito brillante intrattenitore, il volto che insieme a quello di pochi altri (ad esempio Paolo Fresu, Fabrizio Bosso, Danilo Rea, Gianluca Petrella ed Enrico Rava, solo per ricordarne alcuni) ha raggiunto un livello di popolarità sconosciuto al mondo del jazz italiano nei decenni passati. Una qualità forse poco sottolineata è però un’altra, ovvero la capacità del pianista – magari attingendo da brani popolari – di offrire al pubblico una chiave di lettura in grado di aprire le porte di questa musica e dei meccanismi che la regolano, riuscendo in questo modo a stabilire un contatto con le persone, alla fine tutte in piedi. Poi, nella seconda parte, sul palco c’è uno dei più grandi songwriter del secolo, Caetano Veloso che con il suo «Ofertorio» porta per la prima volta i suoi tre figli (qualcuno in platea storce la bocca preferendo il Veloso in versione solitaria, ma tant’è).
Un set acustico (quasi 30 i brani) in cui il 76enne di Santo Amaro oltre a ripercorre pezzi della sua carriera presenta moltissimi brani di «Ofertorio», l’ultimo album uscito meno di due mesi fa e dal quale è tratta «Alegria, alegria» che apre la serata (tra i brani anche «Boas vindas», «Clarao», «De tentar voltar», «Ofertorio» scritta da Veloso per i 90 anni della madre e dedicata alle mamme dei suoi figli). Caetano è l’unico che suona soltanto la chitarra, mentre Zeca spesso e volentieri si siede alla tastiera presentando suoi lavori, Moreno oltre che della chitarra si occupa anche delle percussioni e poi c’è Tom, cresciuto con Cézar Mendes. Lo show, semplice e intimo, si trasforma spesso e volentieri in un piccolo siparietto famigliare con qualche aneddoto. Alla storia del rapporto ultraventennale tra Umbria Jazz e Veloso si aggiungono anche i figli.