Grande successo per la serata inaugurale di UJ18 dedicata alla leggenda Quincy Jones
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Quasi tre ore e mezza di spettacolo, un’ottantina di artisti, 26 brani e oltre 4 mila persone di fatto ospiti della grande festa per l’85esimo compleanno di Quincy Jones, con tanto di «Happy birthday» e regalo finale; e poco importa che il compleanno sia stato il 14 marzo. Probabilmente un modo migliore per dare il la alla 45esima edizione di Umbria Jazz non c’era. All’Arena Santa Giuliana, dopo il successo del pomeriggio con l’anteprima de «I Caraviaggianti» di Rita Marcotulli, è andata in scena una vera e propria festa della musica con protagonista la figura, ma soprattutto l’opera, di Quincy Jones; «la leggenda delle leggende» come l’ha chiamata nel finale Tony Renis, salito a sorpresa sul palco per consegnare, insieme al fondatore e direttore artistico del festival, il primo «Umbria Jazz award». A celebrare il genio di Chicago l’Umbria Jazz Orchestra (protagonista anche nel 2017 con il bellissimo concerto insieme al quartetto di Wayne Shorter) diretta da John Clayton, Noa, Dee Dee Bridgewater, Ivan Lins, Paolo Fresu, Pedrito Martinez, Alberto Rodriguez, Patti Austin e gli applauditissimi Take 6.
A presentare la serata (la regia è stata di Nanni Zedda) la voce di Radio Montecarlo Nick the nightfly, che tra una tappa e l’altra del viaggio lungo la carriera di Jones ha dato vita, insieme a Nick Harper (amico di «Q»), a un piccolo salotto tra aneddoti gustosi, ricordi e opinioni sulla musica, vera protagonista all’Arena. Una notte in grado di fondere note e show, in fondo rispecchiando la figura di quello che è un vero e proprio totem della musica e più in generale dello spettacolo; già perché oltre a essere un polistrumentista, l’uomo nato a Chicago 85 anni fa è un compositore, un direttore, un punto di riferimento per il mondo afroamericano e un arrangiatore che ha scritto musica per decine di artisti, senza dimenticare le colonne sonore o la produzione di dischi entrati nella leggenda come «Thriller», il più venduto della storia. Una carriera lunghissima, costellata da quasi 30 Grammy, iniziata quando da ragazzino suonava in piccoli locali – come ricordato anche nella conferenza stampa di Roma – per tirare su qualche soldo insieme a un altro giovane di belle speranze, Ray Charles.
E proprio «Let the good times roll», interpretata anche dal cantante e pianista di Albany ha chiuso la prima notte dell’Arena con il pubblico tutto sotto il palco a festeggiare. Incontro e contaminazione sono altre due possibili chiavi di lettura. Sì, perché il primo venerdì del Santa Giuliana scorre tre la bossa nova di Lins («Ai ai ai ai», «Comencar de novo», «Dinorah, Dinorah»), le atmosfere black di Patti Austin e Dee Dee Bridgewater («Lei è il top – dice Jones – una che ha lavorato moltissimo per arrivare dov’è ora») con pezzi come «Misty», «Honeysuckle rose», lo standard «I’m begininning to see the light» cantato da Austin e reso celebre nei decenni passati anche da Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald; e poi ancora «I can’t stop loving you» e la colonna sonora di «The colour purple» suonate dall’UJ Orchestra, il medley bachiano cantato da Noa e molto altro.
Paolo Fresu, anche lui molto applaudito, lancia la sua tromba lungo «My ship», resa popolare da Miles Davis e opportunamente arrangiata da Jones, prima di duettare con Lins e poi con Patti Austin per «Love song». Tra le passioni musicali di Quincy Jones ci sono anche gli Earth, wind and fire e così nella notte dell’Arena c’è spazio anche per «Badiyah» cantata dai Take 6, grandi protagonisti del concerto che insieme a Lins e Patti Austin hanno dato vita anche alla leggendaria «Setembro». Il finale è travolgente: «Wanna be startin’ something», preso da «Thriller» con i Take 6 a far ballare tutta l’Arena, «What’s going on?» di Marvin Gaye per non dimenticare il tema dei diritti civili e poi, prima che Quincy Jones dirigesse «Let the good times roll» con tutti gli ospiti sul palco, la dedica di Noa sulle note di «La vita è bella» di Nino Rota perché, dice l’israeliana, «la vita con Quincy è bellissima». Davvero un modo migliore per partire non c’era.