È l’anno indimenticabile di uno strepitoso Miles Davis. Al Frontone il suo concerto è fra le cose più emozionanti dell’ultima fase della sua carriera.
Miles ha voglia di suonare e lo fa divinamente: quando si arrampica con le sue note nude su un blues o quando trasforma Time After Time in una cavalcata emotiva che non ha più nulla a che fare con la canzoncina di Cindy Lauper.
Al Frontone c’è un altro veterano, Stan Getz alla testa di un quartetto con Kenny Barron al piano. Accolto malamente tredici anni prima, dal festival della piazza, dell’impegno e dei sacchi a pelo, si riprende la rivincita con una superperformance: levigata, asciutta, elegantissima e ispirata.
Fra le novità appare il chitarrista dalle mille mani, Stanley Jordan, deludente e subitaneo fenomeno, Gillespie e Phil Woods fanno ditta assieme come McCoy Tyner e George Benson.
Carmen McRae eredita il San Francesco dall’orchestra di Gil Evans conservando il gusto delle nottate preziose, torna la musica di Charles Mingus, con una delle tante formazioni di ex.